Inibitori della Pompa di Proton e Osteoporosi: Rischi di Frattura da Uso Prolungato

Inibitori della Pompa di Proton e Osteoporosi: Rischi di Frattura da Uso Prolungato

Valuta il Tuo Rischio di Frattura con gli Inibitori della Pompa di Proton

Perché è importante valutare il tuo uso di PPI

Gli inibitori della pompa di protone (PPI) sono farmaci efficaci per il reflusso gastroesofageo e le ulcere, ma l'uso prolungato può aumentare il rischio di fratture ossee. Questo strumento ti aiuta a valutare il tuo rischio personale basandoti sugli indicatori chiave descritti nell'articolo.

Ricorda: non interrompere i farmaci da solo. Questo strumento è per iniziare una conversazione con il tuo medico.

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Se prendi un inibitore della pompa di protone (PPI) da mesi o anni, potresti chiederti: questo farmaco sta indebolendo le mie ossa? La risposta non è semplice, ma i dati parlano chiaro: un uso prolungato e inappropriato di questi farmaci può aumentare il rischio di fratture, specialmente a fianco, polso e colonna vertebrale. Non è una minaccia per tutti, ma per alcune persone è un rischio reale che vale la pena capire.

Cosa sono gli inibitori della pompa di protone?

Gli inibitori della pompa di protone (PPI) sono farmaci usati per ridurre la produzione di acido nello stomaco. Funzionano bloccando l’enzima responsabile della secrezione acida nelle cellule della parete gastrica. Sono tra i farmaci più prescritti al mondo: omeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo. Sono efficaci per il reflusso gastroesofageo, le ulcere e la sindrome di Zollinger-Ellison. Per anni, sono stati considerati sicuri e usati per periodi brevi - 4-8 settimane, come indicato nelle etichette originali.

Ma oggi, la realtà è diversa. Circa il 60-70% delle prescrizioni di PPI in America sono inutili a lungo termine, secondo uno studio del 2017 su JAMA Internal Medicine. In Italia, la situazione non è molto diversa. Molti pazienti li prendono per anni, senza una valutazione periodica. E qui nasce il problema.

Il legame con le fratture ossee

La prima allerta è arrivata nel 2006, quando uno studio su oltre 200.000 persone ha mostrato che chi assumeva PPI aveva quasi il doppio del rischio di frattura dell’anca rispetto a chi non li prendeva. Da allora, decine di studi hanno confermato questo legame. Un’analisi del 2019 pubblicata sul Journal of Bone and Mineral Research ha riunito i dati di 17 studi e ha trovato un aumento del rischio di fratture osteoporotiche del 20-30% con l’uso prolungato.

Non è un effetto immediato. Il rischio cresce con il tempo. Chi assume PPI per più di 5 anni ha un rischio di frattura dell’anca aumentato del 62%. Per chi li assume per più di 7 anni, il rischio sale fino a 3,5 volte. E non si tratta solo di anziani: anche persone più giovani con fattori di rischio - come basso peso corporeo, post-menopausa o uso di corticosteroidi - sono più vulnerabili.

Uno studio del 2020 ha confrontato 50.000 persone che assumevano PPI con altre 50.000 che assumevano H2-bloccanti (un’altra classe di farmaci per l’acido). I risultati? Chi prendeva PPI aveva un rischio di frattura dell’anca del 27% più alto. E chi assumeva dosi più alte - due o più compresse al giorno - aveva un rischio del 67% più elevato.

Perché gli inibitori della pompa di protone influenzano le ossa?

La teoria principale riguarda l’assorbimento del calcio. Il calcio, soprattutto nella forma di carbonato (la più comune negli integratori), ha bisogno di un ambiente acido nello stomaco per essere assorbito correttamente. Quando i PPI riducono l’acidità, il calcio non viene assorbito bene. Il corpo, però, non può farne a meno: lo usa prima per il cuore, i muscoli e i nervi. Se non c’è abbastanza calcio disponibile, le ossa ne pagano il prezzo.

Ma non è solo il calcio. Altri studi suggeriscono che l’iper gastrinemia - un aumento del livello dell’ormone gastrina - causato dall’uso prolungato di PPI, potrebbe influenzare direttamente le cellule che ricostruiscono l’osso (osteoblasti) e quelle che lo degradano (osteoclasti). In pratica, il sistema di rinnovo osseo si sbilancia: si perde più osso di quanto se ne formi.

Però, non tutti gli studi concordano. Alcuni ricercatori sostengono che il rischio sia sovrastimato, perché chi assume PPI a lungo termine ha spesso altre condizioni - come malattie croniche, fumo, alcolismo, uso di corticosteroidi - che da sole aumentano il rischio di fratture. Ma anche se questo è vero, non annulla il fatto che i PPI potrebbero essere un fattore aggiuntivo, soprattutto in chi è già a rischio.

Donna che sostituisce il calcio carbonato con citrato, con esame DEXA e check-list medica.

Chi è più a rischio?

Non tutti i pazienti che prendono PPI hanno lo stesso rischio. I gruppi più vulnerabili sono:

  • Donne in post-menopausa - soprattutto se hanno già osteopenia o osteoporosi
  • Persone over 65 - la densità ossea cala naturalmente con l’età
  • Individui con peso corporeo inferiore a 57 kg - meno massa ossea di partenza
  • Chi ha già avuto una frattura in passato
  • Pazienti che assumono corticosteroidi (come la prednisone) o altri farmaci che indeboliscono le ossa
  • Chi assume dosi elevate (due o più compresse al giorno) per più di un anno

Se rientri in uno di questi gruppi, e prendi un PPI da più di 8 settimane, è il momento di parlare con il tuo medico. Non devi smettere subito - ma devi valutare se è ancora necessario.

Cosa fare se prendi PPI da tempo

Se ti trovi in una situazione di uso prolungato, non panico. Ci sono passi concreti da fare:

  1. Valuta se ne hai ancora bisogno. Chiedi al tuo medico se puoi ridurre la dose, passare a un’assunzione intermittente (es. solo quando hai sintomi) o passare a un H2-bloccante, che ha un rischio minore di fratture.
  2. Controlla la densità ossea. Se hai più di 65 anni o altri fattori di rischio, fai un esame di densitometria ossea (DEXA). È semplice, indolore e ti dice esattamente lo stato delle tue ossa.
  3. Prendi calcio e vitamina D. Ma attenzione: se prendi PPI, scegli il citrato di calcio, non il carbonato. Il citrato non ha bisogno di acido per essere assorbito. La dose consigliata è di 1.200 mg di calcio e 800-1.000 UI di vitamina D al giorno.
  4. Attiva le ossa. Cammina 30 minuti al giorno. Fai esercizi di resistenza. L’attività fisica stimola la formazione ossea. Non serve andare in palestra: bastano scale, pesi leggeri, yoga o nuoto.
  5. Evita fumo e alcol. Entrambi danneggiano le ossa e riducono l’assorbimento del calcio.
Timeline di cinque anni: pillola PPI che porta a frattura ossea, contrastata da attività fisica.

Le linee guida dei medici

Le principali società scientifiche sono d’accordo su un punto: il beneficio dei PPI supera il rischio quando sono usati correttamente. Ma il problema è che spesso non lo sono.

L’American Gastroenterological Association (2021) dice che il rischio assoluto di frattura è piccolo, ma reale. L’Endocrine Society raccomanda di fare un controllo della densità ossea per chi prende PPI da più di 8 settimane e ha altri fattori di rischio. L’American Geriatrics Society, nei suoi criteri Beers, elenca i PPI come farmaci potenzialmente inappropriati per gli anziani se usati a dosi alte o per lunghi periodi senza indicazione chiara.

La FDA ha aggiornato le etichette dei farmaci nel 2011 per avvertire del rischio di fratture. L’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha raccomandato di usare i PPI per il minor tempo possibile. Eppure, ancora oggi, quasi la metà delle prescrizioni di PPI in America sono inutili - secondo un’analisi del 2022 su JAMA Internal Medicine.

Il futuro: nuove ricerche e nuove regole

Uno studio americano chiamato PPI-BONE, finanziato dal NIH, sta seguendo 15.000 pazienti per cinque anni per capire meglio il legame tra PPI e ossa. I risultati sono attesi per la primavera del 2025. Potrebbero chiarire se il rischio è davvero causato dai farmaci o se è solo un effetto collaterale di altre condizioni.

Intanto, i medici stanno imparando a prescrivere meglio. In Trentino, come in molte altre regioni italiane, i farmacisti stanno iniziando a segnalare i pazienti che assumono PPI da più di un anno senza controllo. È un passo importante: la prevenzione parte anche da qui.

Conclusione: non smettere, ma valuta

Se hai bisogno di un PPI per gestire il reflusso, l’ulcera o altre condizioni, non interromperlo da solo. Ma chiediti: perché lo prendo? Da quanto tempo? È ancora necessario? Questi farmaci salvano vite. Ma se li usi senza controllo, potrebbero indebolire le tue ossa. La soluzione non è la paura, ma la consapevolezza. Parla con il tuo medico. Fai i controlli. Scegli il calcio giusto. Muoviti. E non lasciare che un farmaco che ti aiuta a stare bene ti renda più vulnerabile a lungo termine.

I PPI causano direttamente l’osteoporosi?

No, gli inibitori della pompa di protone non causano direttamente l’osteoporosi. Ma possono aumentare il rischio di fratture ossee, specialmente con l’uso prolungato e a dosi elevate, riducendo l’assorbimento del calcio e alterando il rinnovo osseo. L’osteoporosi è una condizione multifattoriale, e i PPI sono solo un fattore di rischio aggiuntivo.

Posso prendere il calcio carbonato se uso i PPI?

Non è consigliato. Il calcio carbonato ha bisogno di un ambiente acido per essere assorbito, e i PPI riducono l’acidità dello stomaco. Se devi integrare il calcio, scegli il citrato di calcio, che viene assorbito anche senza acido. È leggermente più costoso, ma molto più efficace in chi prende PPI.

Quanto tempo devo assumere un PPI prima che il rischio aumenti?

Il rischio di frattura inizia a salire dopo 1-2 anni di uso continuativo, ma diventa significativo dopo 5 anni. Gli studi mostrano che chi assume PPI per più di 7 anni ha un rischio di frattura dell’anca fino a 4,5 volte superiore. Per questo, è importante rivedere l’uso ogni 6-12 mesi.

Gli H2-bloccanti sono più sicuri per le ossa?

Sì, in generale. Gli H2-bloccanti (come ranitidina o famotidina) riducono l’acido, ma meno dei PPI, e non sembrano aumentare il rischio di fratture allo stesso modo. Uno studio del 2020 ha trovato che chi assumeva H2-bloccanti aveva un rischio di frattura dell’anca simile a chi non assumeva farmaci per l’acido. Sono una buona alternativa per chi ha bisogno di un controllo meno intenso dell’acidità.

Devo fare la densitometria ossea se prendo un PPI?

Se hai più di 65 anni, sei donna in post-menopausa, hai un peso basso, hai già avuto una frattura o assumi corticosteroidi, sì. Anche se non hai sintomi, la densitometria ossea è un esame semplice che può salvarti da una frattura futura. È raccomandato dall’Endocrine Society per chi assume PPI da più di 8 settimane e ha fattori di rischio.

Commenti (2)

  1. Claudia Melis
    Claudia Melis dicembre 6, 2025

    Oh, ecco un articolo che finalmente dice la verità senza giri di parole. Io prendo omeprazolo da 6 anni perché il mio stomaco sembra un vulcano in eruzione, ma non sapevo che stessi lentamente trasformando le mie ossa in gesso. 😅 Ora mi sento come un personaggio di un thriller medico. Grazie, articolo, per avermi fatto capire che non sono invincibile. Ora vado a controllare se il mio calcio è citrato o carbonato... e spero sia il primo, altrimenti ho fatto tutto sbagliato.

    PS: chi ha detto che i farmaci sono innocui? Sono come i partner tossici: ti aiutano a stare bene oggi, ma ti distruggono domani.

  2. Elisa Pasqualetto
    Elisa Pasqualetto dicembre 6, 2025

    Ma che ca***o, ma chi vi permette di spaventare la gente con queste stronzate? Siete tutti pazzi? I PPI salvano vite, non le rovinano! E poi, se ti rompi l’anca a 70 anni, forse è perché hai passato 50 anni a mangiare patatine e guardare la TV, non perché hai preso un antiacido! La scienza non è un’opinione, ma voi la trattate come se fosse un post su Facebook. Voi che fate? Vi preoccupate per le ossa ma non vi preoccupate per la vostra vita sedentaria? Ah, già, perché è più comodo colpevolizzare un farmaco che cambiare abitudini.

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